La vittoria di Biden apre una nuova fase su clima e rinnovabili, ma non sarà cosa
semplice
Qual è l’eredità di Trump su clima e rinnovabili che ostacolerà il cammino del nuovo
presidente Biden? Si tratta di questioni “ingombranti” che l’ex Presidente ha lasciato
sul campo e che con ogni probabilità non potranno essere completamente superate nei
quattro anni di presidenza democratica. Abbiamo chiesto a G.B. Zorzoli, Presidente
onorario del Coordinamento Free, di analizzare la questione. Ne emerge un quadro
assai complesso e poco comunicato su questa sponda dell’Atlantico.
Biden ha vinto. Come vedi la situazione sul fronte climatico?
«È condivisibile il sospiro di sollievo di chi nel risultato delle elezioni presidenziali
USA vede riaprirsi la prospettiva di una politica energetico-climatica americana
allineata con quella sancita dall’Accordo di Parigi. Preoccupano invece i commenti
che minimizzano gli ostacoli che Biden dovrà superare per tradurre in fatti concreti le
dichiarazioni di principio».
Quali sono le problematiche all’orizzonte?
«Prima di tutto non si possono liquidare i quattro anni trumpiani compiacendosi per il
fallimento della politica di rilancio del carbone. Subito dopo la sua elezione nel 2016,
fu pressoché unanime la constatazione che a mettere in crisi la filiera carbonifera era
stato il minore costo del kWh eolico e fotovoltaico; ipotesi che il mercato ha
puntualmente confermato. E poi, in questo quadro, se da un lato è corretto tenere
conto che l’installazione di capacità rinnovabile è proseguita a dispetto
dell’avversione di Trump, per quanto concerne le prospettive future delle rinnovabili,
probabilmente a molti è sfuggito che dai 2.000 miliardi di dollari di aiuti
all’economia, su cui la maggioranza repubblicana nel Senato USA ha raggiunto un
accordo con i democratici, è stata esclusa la proroga degli sgravi fiscali per l’eolico e
il fotovoltaico, che scadono a fine 2020».
E ciò cosa comporta?
«Nella migliore delle ipotesi (ballottaggio di gennaio per i due seggi senatoriali in
Georgia vinto dai democratici, dando loro la maggioranza anche in Senato) il tempo
richiesto per l’approvazione di nuovi sgravi fiscali peserebbe comunque sugli
investimenti del 2021. In caso contrario, la negoziazione di un compromesso con la
maggioranza repubblicana allungherebbe i tempi e non è detto che si arrivi a una conclusione positiva. A favore di un accordo peseranno le pressioni degli Stati
interessati allo sviluppo delle rinnovabili, a ostacolarlo la contrapposizione frontale
tra elettorato repubblicano e democratico, rafforzata dalla narrazione di una vittoria di
Trump cancellata dalle ipotetiche quanto inconsistenti frodi elettorali. Gli ostacoli da
rimuovere non riguardano però soltanto lo sviluppo delle rinnovabili. Chi tira troppi
sospiri di sollievo, trascura infatti gli effetti di quattro anni di amministrazione
Trump».
Quali sono, questi effetti?
«Prima di tutto il ruolo dell’Epa, l’agenzia per la protezione ambientale, che è stato
ridimensionato, rendendolo pressoché inesistente, con ricadute anche sulla qualità
degli addetti, che non si riuscirà a modificare in quattro e quattr’otto. Una serie di
norme antinquinamento e di contenimento delle emissioni climalteranti sono state
rese molto meno restrittive. Persino le normative sulle acque sono state riviste al
ribasso. Le concessioni per l’estrazione degli idrocarburi hanno riguardato anche aree
considerate protette. Si sono quindi moltiplicate le decisioni che, anche
indirettamente, sono andate contro una politica di contrasto all’emergenza climatica.
Una maggiore licenza di inquinare quasi sempre porta con sé anche una maggiore
emissione di gas serra. La nomina di John Kerry come inviato per il clima, che, come
ha detto Joe Biden, mostra “la mia determinazione a combattere il cambiamento
climatico”, è certamente un fatto positivo, ma, quante delle decisioni trumpiane
Biden potrà abolire con executive order e quante richiederanno il placet legislativo?
Ma non è tutto. Recentemente l’attenzione si è concentrata sulla nomina in extremis
di un giudice della Corte Suprema, che ha allargato la maggioranza dei membri
proposti da un Presidente repubblicano. Pochi sanno (e pochissimi ne hanno parlato)
che negli Stati Uniti sono di nomina governativa tutti i giudici federali, cioè quelli
chiamati a pronunciarsi su casi non di pertinenza dei singoli stati, fra cui tutto ciò che
riguarda il clima e l’ambiente. Per decenni questa procedura di nomina, che a noi europei appare in contrasto con la garanzia di terzietà dei giudici, è stata mitigata dalla complessiva prevalenza di un approccio bipartisan. Già in declino da qualche tempo, questa consuetudine è stata radicalmente capovolta durante la presidenza Trump, con la nomina di giudici in gran parte “schierati”. Di nuovo, quanti ricorsi giudiziari contro decisioni
dell’amministrazione Biden riceveranno una sentenza favorevole prima di arrivare
alla Corte Suprema, rendendone obiettivamente più probabile la ratifica?».
Mi sembra che sul tappeto ci siano parecchie questioni. Quali saranno le
problematiche relative all’opinione pubblica?
«Bisogna premettere che, stando alle dichiarazioni di Biden, il marchio di fabbrica
della sua amministrazione dovrebbe essere la sostituzione della politica divisiva,
perseguita da Trump, con una che riporti, per quanto possibile, l’attuale
contrapposizione radicale nell’alveo di un normale confronto tra differenti opinioni.
Ma molte delle decisioni da prendere per riallineare gli Stati Uniti con gli obiettivi
indicati dall’Accordo di Parigi possono essere propagandate come un tradimento dell’America first ai 73 milioni di cittadini che, malgrado la gestione della pandemia,
hanno votato Trump. Anche immaginando un contesto ideale, con i democratici in
maggioranza al Senato e una magistratura propensa a giudicare favorevolmente le
decisioni di Biden, quanto peserà su tali decisioni il suo obiettivo di passare alla
storia come il presidente che ha riportato gli Stati Uniti a essere realmente uniti? Si
tratta di una questione cruciale che si verificherà da subito. Non bisogna dimenticare,
infatti, che la politica statunitense è concepita per essere veloce. Tra due anni ci sarà
il primo test delle elezioni di mid-term, mentre la presidenza dura quattro anni. Tutte
le questioni d’indirizzo si prendono nel giro di pochissimo tempo. Ricordiamoci che
Trump aveva cancellato i riferimenti al cambiamento climatico dai siti governativi
già dal giorno del suo insediamento, il 20 gennaio 2017».
(L’articolo è un’anticipazione di quanto pubblicato su QualEnergia n.5 del 2020)
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Sergio Ferraris