Il 2021 deve essere l’anno per sciogliere i nodi legati al clima. E l’Italia è in ritardo

L’auspicabile controllo degli effetti della pandemia rafforzerà nei prossimi mesi la consapevolezza dell’altra emergenza che incombe sull’umanità, quella climatica.
L’aver rimandato, a causa del Covid-19, la Cop 26 di Glasgow consente di affiancare anche gli Stati Uniti a Europa e Cina nel salto di qualità necessario per affrontare la sfida.
La nomina a “Responsabile del Clima” di Kerry, che aveva svolto un ruolo di punta a Parigi nel 2015, garantirà un ritorno in grande stile sulla scena mondiale degli Stati Uniti (a proposito, quando avremo in Italia un autorevole Ministro del Clima?).
Sappiamo che la libertà di movimento della nuova Amministrazione USA sarà condizionata
dall’esito delle elezioni in Georgia il 5 gennaio, decisive per capire se il Senato sarà a maggioranza repubblicana o no. Intanto va evidenziato che la transizione Green negli USA è già partita. Negli ultimi quattro anni sono stati chiusi ben 41.000 MW a carbone. In California dal 2035 si potranno vendere solo auto elettriche e sono diversi gli Stati e città con l’obiettivo “100% clean electricity”. Peraltro le rinnovabili avranno un supporto bipartisan. Gli Stati che hanno votato repubblicano alle elezioni presidenziali del 2016 occupano sette dei primi dieci posti per la quota di generazione eolica e solare in proporzione al consumo di elettricità. Tornando alla scena internazionale, è auspicabile che gli annunci di puntare a una neutralità climatica di Europa, Giappone, USA, Cina e decine di altri Paesi, si articolino con maggior precisione. Due dati per riflettere.
La riduzione delle emissioni mondiali climalteranti del 2020 causata dal Covid-19 è dello stesso ordine di grandezza, di almeno il 6%, del taglio annuale necessario nei prossimi tre decenni. Inoltre, le concentrazioni di CO 2 osservate a Mauna Loa a metà novembre di quest’anno, 412,5 ppm, sono 2,3 ppm più elevate rispetto all’anno prima. Cioè solo leggermente inferiori all’incremento medio annuo del recente passato.
Per riuscire a rallentare la crescita della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera
occorreranno tagli delle emissioni, ambiziosi e costanti nel tempo.

Nuovi obiettivi, nuovi Piani ma soprattutto un cambio di marcia per l’Italia
L’Italia è ferma sulle rinnovabili. Se non accelereremo, raggiungeremo i nuovi target 2030 solo nel 2100. Occorre rivedere i processi autorizzativi e vanno create le condizioni per favorire il consenso a livello locale. Certamente dovremo riesaminare il Pniec per renderlo coerente con i nuovi obiettivi europei di riduzione del 55% delle emissioni al 2030.
Per fare un esempio: la potenza fotovoltaica dovrà passare dagli attuali 21 GW a un valore
compreso tra 65 e 70 GW: un’incredibile accelerazione. Ciò che serve nella redazione del nuovo Piano è la descrizione degli strumenti necessari a raggiungere gli obiettivi e a rimuovere gli ostacoli. Sarebbe perciò utile che alla redazione, oltre ai Ministeri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e delle Infrastrutture, si aggiungesse quello dei
Beni culturali e occorrerebbe un impulso forte del Primo ministro. Il Piano dovrebbe delineare le opportunità che si aprono per una reindustrializzazione green, puntando sui comparti che saranno strategici. Infine, in passato si parlava della sicurezza degli
approvvigionamenti, pensando ai combustibili fossili. In futuro dovremo ragionare sui metalli e i minerali essenziali per la transizione Green. Occorre diventare una superpotenza dell’economia circolare, come ci ricorda Realacci. E veniamo al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. L’attenzione alla sfida climatica non compare in nessuno dei tredici obiettivi quantitativi di lungo termine descritti nelle Linee guida. Peraltro, secondo un’analisi indipendente svolta da Vivid Economics il nostro Piano è considerato il peggiore
in Europa sul versante ambientale. A livello regionale la situazione non è migliore.
Nelle proposte della Sicilia c’è il Ponte sullo Stretto, un centro fieristico e spazio per i concerti e una metropolitana a Palermo sullo stesso tracciato su cui si sta realizzando un tram. Bisognerà aspettare le proposte definitive. Pensiamo che conterranno la prosecuzione
dell’Ecobonus, la difesa del suolo, gli autobus elettrici, le piste ciclabili, ecc.
Sicuramente troveremo grande attenzione sull’idrogeno. Nelle proposte preliminari del governo, ispirate da Snam, si parla di realizzare 5 GW di capacità di elettrolisi al 2030 con investimenti per  6 miliardi di euro. Bisogna però chiedersi quali usi saranno realmente sensati in questo decennio prima di capire quanto idrogeno produrre e come. Inoltre, considerando la presenza ancora marginale dell’industria italiana di elettrolizzatori, non vorremmo che si ripetesse l’errore fatto con il fotovoltaico, con l’importazione massiccia di impianti oppure che il risultato finale fosse la improbabile produzione di idrogeno blu.

La Cina condizionerà la transizione climatica?
Finora abbiamo temuto che la forte dipendenza dal carbone della Cina sarebbe stata un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di Parigi. Ora che Xi JinPing ha annunciato di puntare alla neutralità carbonica al 2060, si aprono prospettive interessanti. Nei prossimi decenni dovremo superare un altro ostacolo alla rivoluzione climatica globale, la reale disponibilità delle materie prime necessarie. Se negli ultimi cento anni abbiamo visto guerre e colpi di Stato per il petrolio, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi cento?
Considerando che i maggiori paesi si sono dati l’obiettivo di raggiungere la neutralità
climatica/carbonica nei prossimi 30-40 anni è chiaro che il ruolo dei combustibili fossili andrà riducendosi. Crescerà invece la dipendenza da una serie di materie prime critiche.
La transizione ecologica dell’economia comporterà la crescita rapidissima non solo di acciaio, rame, cemento, alluminio, ma anche di elementi strategici come il litio, il cobalto e le terre rare che al momento vengono largamente controllati dalla Cina.
Si consideri, per esempio, che il 98% delle terre rare utilizzate nelle tecnologie rinnovabili e nella mobilità elettrica in Europa proviene dalla Cina. Uno scenario che preoccupa la Ue.
Il vicepresidente della Commissione Maroš Šefčovič ha sottolineato come l’approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime sia un prerequisito per un’economia resiliente. «Solo per le batterie delle auto elettriche e lo stoccaggio di energia, l’Europa avrà bisogno di una quantità di litio fino a 18 volte superiore entro il 2030 e fino a 60 volte di più entro il 2050. Costruiremo quindi una forte alleanza per passare da un’elevata dipendenza dall’estero a un approvvigionamento interno e punteremo alla circolarità e all’innovazione». Dunque, il tema delle risorse è una criticità da non sottovalutare e da affrontare con lungimiranza. Non certo però con il taglio provocatorio del pezzo “La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?” comparso l’11 novembre su un blog de Il Sole 24 Ore. L’articolo, che alterna dati veri e inesattezze, arriva a ipotizzare soluzioni impraticabili su larga scala come la cattura della CO2 dall’atmosfera.
Utilizzando la tecnologia della svizzera Climeworks, all’avanguardia in questo settore, per
rimuovere la CO 2 annualmente prodotta dai combustibili fossili, 38 miliardi di tonnellate, si
dovrebbe infatti utilizzare metà della produzione mondiale di energia elettrica, oltre a una
quantità di energia termica quattro volte superiore… «Di circa una decina di materiali alla base della ‘rivoluzione verde’ le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili», si legge inoltre nel pezzo. Non è così, ma la sfida della domanda dei materiali e dell’impatto ambientale legato alla loro produzione andrà affrontata con grande serietà. Vediamo quali approcci sono perseguibili. Un elemento importante per contenere la pressione sugli approvvigionamenti riguarda l’innovazione tecnologica. Ricordiamo che il contenuto di silicio nelle celle solari è passato
dai 16 grammi/W nel 2004 ai 4 grammi/W nel 2017. E si potranno aprire nuove frontiere, come con le celle solari organiche ultrasottili. Oppure, consideriamo il recente annuncio di Tesla di voler produrre batterie prive di cobalto. C’è poi un secondo filone, molto interessante, che riguarda il recupero dei materiali dai prodotti a fine vita. Nel caso delle batterie al litio, nel 2018 si sono riciclate quasi 100 mila tonnellate su scala globale, circa il 50% di quelle che hanno raggiunto il “fine vita”. La percentuale di recupero a livello mondiale delle terre rare è a livelli molto bassa, l’1%, ma si ritiene di potere arrivare a recuperarne un terzo nel medio periodo. Abbiamo poi le nuove attività di esplorazione.
A settembre, negli USA è stato presentato il Reclaiming American Rare Earths Act che prevede incentivi fiscali per le compagnie coinvolte nell’estrazione e nel riciclo delle terre rare e di metalli nel territorio americano. È prevedibile l’avvio di nuove iniziative minerarie in diversi paesi, dall’Australia al Canada, dagli USA all’Europa. C’è infine una riflessione fondamentale, decisiva. Le possibili criticità sull’uso delle risorse minerali e idriche impongono non solo una maggiore attenzione alla riduzione dei consumi energetici, ma sollecitano anche una rivisitazione dell’attuale modello economico e lanciano un messaggio a una maggiore sobrietà. Sono proprio i temi toccati nel recente summit “The Economy of Francesco” nel quale Bergoglio ha tracciato un percorso per la ripresa dopo la pandemia.

Italia, futuro polo di recupero delle tecnologie Green?
Il nostro Paese ha una lunga tradizione di recupero di materiali. Su Green Italy 2019 un contributo di Duccio Bianchi evidenzia la leadership italiana a livello europeo nell’economia circolare e nel riciclo dei rifiuti. «L’Italia è il Paese europeo con il più basso consumo pro capite di materia (quasi dimezzato tra il 2000 e oggi) ed è il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti (urbani, industriali ecc.). Con il 79% di rifiuti totali avviati a riciclo presenta un’incidenza più che doppia rispetto alla media europea».
Occorrere lavorare per diventare un virtuoso centro europeo di recupero “green”. Alcune
sperimentazioni sono già avviate. Il Cobat, insieme al Cnr-Iccom di Firenze, ha brevettato un nuovo processo idro metallurgico per il recupero del litio e l’Enea ha sviluppato un impianto pilota che consente di recuperare materiali preziosi dai Raee con una resa del 95%. Ci si deve organizzare, quindi, per quando, fra 5-10 anni questo settore avrà una valenza strategica. Sarebbe quindi importante attingere alle risorse di Next Generation EU anche per avviare un’attività di ricerca e di sviluppo industriale su questo fronte.

(L’articolo è un’anticipazione di quanto pubblicato su QualEnergia n.5 del 2020)

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Gianni Silvestrini