Per l’Italia è arrivato il momento delle scelte che possono rendere più green e sostenibile il nostro sistema economico e, più in generale, la società in cui viviamo. Ecco a confronto le idee circolari del ministro dell’Ambiente Sergio Costa, del presidente di Legambiente Stefano Ciafani, del presidente del Conai (Consorzio nazionale imballaggi) Luca Ruini e del presidente del Conou (Consorzio nazionale oli usati) Paolo Tomasi.
Quali sono gli interventi o i progetti su cui è necessario investire con priorità le risorse in arrivo con il Recovery fund?
Sergio Costa Sappiamo tutti che il 37% delle risorse assegnate dal Recovery fund al nostro Paese deve andare al green. Non parlo, chiaramente, di risorse assegnate al ministero dell’Ambiente, proprio perché, come ha detto la Commissione europea, l’ambiente deve essere trasversale ed essere contenuto in ogni programmazione. Fatta questa premessa, ci sono chiaramente settori per noi imprescindibili come l’economia circolare – l’impiantistica è ancora largamente insufficiente – la depurazione delle acque, la lotta al dissesto idrogeologico. Con il ministro per gli Affari europei Vincenzo Amendola stiamo lavorando fianco a fianco per supportare il lavoro di coordinamento su tutti i progetti.
Stefano Ciafani Il governo sul Recovery plan ha le idee molto confuse. Nel piano di ripresa e resilienza non possono stare insieme il diavolo e l’acqua santa. Non può esserci, allo stesso tempo, da un lato il condivisibile progetto di collegare con una rete ferroviaria degna di un Paese industrializzato come il nostro tutti i capoluoghi del Centro-Sud Italia e, dall’altro, il ponte o il tunnel sotto lo Stretto di Messina. Non possono convivere l’idea giusta di decarbonizzare lo stabilimento siderurgico dell’Ilva di Taranto e il folle progetto di Eni di confinare la CO2 nei fondali marini nell’alto Adriatico di fronte alla costa di Ravenna. Bisogna dare un’anima al piano di ripresa e resilienza italiano, e per fare ciò è necessario seguire la direzione indicata dall’Europa. La presidente della Commissione Ue von der Leyen lo ha detto chiaramente nel suo discorso sullo Stato dell’Unione. Oltre ad alzare l’asticella sulla riduzione delle emissioni di gas serra dal 40 al 55% entro il 2030, ha dichiarato che il 37% degli interventi finanziati con il Recovery fund dovranno essere focalizzati sulla lotta alla crisi climatica. E ha aggiunto che per recuperare i 750 miliardi di euro che andranno ai 27 Paesi membri verranno applicate anche nuove tassazioni in coerenza con il pacchetto di direttive europee sull’economia circolare, con una nuova plastic tax e anche con una carbon tax. La coerenza e l’intraprendenza dell’Europa devono essere riprese dall’Italia. E invece l’Italia, fino ad oggi, ha dimostrato incoerenza e confusione. Speriamo di essere guidati al meglio per non commettere degli errori imperdonabili.
Luca Ruini Anche per il 2020, nonostante l’emergenza sanitaria, prevediamo che i quantitativi di rifiuti di imballaggio conferiti in modo differenziato aumenteranno: un sistema di impianti adeguato e capillare sul territorio nazionale è per questo sempre più urgente. Soprattutto in alcune aree del Mezzogiorno, terribilmente in ritardo a livello impiantistico. È un gap che deve essere colmato in tempi rapidi: sono necessari investimenti sia per creare nuovi impianti sia per il revamping di quelli esistenti. Mi torna in mente lo slogan più volte usato da Legambiente: “Rifiuti zero, impianti mille”. Ma anche il comparto della ricerca e sviluppo ha bisogno di essere sostenuto: occorre cercare soluzioni tecnologiche sempre più avanzate anche nel campo del riciclo. Penso al riciclo chimico, ad esempio, una nuova possibilità per dare una seconda vita alla plastica già studiata con successo in laboratorio, ma che ora deve trovare applicazioni concrete su scala industriale. Senza dimenticare il tema dell’eco-design: gli strumenti che lo facilitano e che possono renderlo più accessibile per le imprese devono essere promossi.
Paolo Tomasi – Certamente la promozione di iniziative finalizzate ad incrementare il tasso di sostenibilità dell’economia dovrà essere posta al centro della programmazione degli investimenti. Credo che favorire la transizione energetica nell’ottica di una crescita sempre più verde e responsabile nei confronti dell’ambiente sia un elemento imprescindibile allo scopo di sostenere un effettivo rilancio del Paese, in grado di generare valore aggiunto stabile e a beneficio di tutti sul lungo periodo.
Qual è la strategia da adottare affinché il pacchetto di direttive Ue sull’economia circolare, recepito ad agosto dal Governo, trovi applicazione concreta in tutto il paese?
Sergio Costa – L’approvazione del pacchetto sull’economia circolare ha costituito un risultato importante affinché si faccia concretamente economia circolare. Il riuso, il riutilizzo e il reimpiego che la contraddistinguono permettono di incrementare un nuovo sistema di fare impresa ambientale, con vantaggi significativi sia per gli imprenditori sia per i cittadini sia per il bene del nostro pianeta. Appena abbiamo iniziato a parlare di Recovery plan, ci siamo posti proprio l’obiettivo di aiutare quel sistema di imprese per avere un “patto generativo”: si genera lavoro e poi si genererà ecologia integrale. Per agevolare il sistema delle imprese ritengo che si debba aiutare il sistema del credito con un indice di rischio di cui lo Stato si dovrebbe prendere carico, perché altrimenti facciamo retorica senza sostanza, cioè predicheremmo all’imprenditore di far economia circolare ma poi, quando andrà a chiedere il credito, considerato l’alto rischio, non ce la farà a ottenerlo e ritornerà all’economia lineare. Il pacchetto assegna poi al ministero dell’ambiente il compito di censire, coordinare e sovrintendere i piani regionali su base nazionale. Ascoltando le associazioni, le imprese, tutti gli stakeholder, staremo molto attenti e implementeremo la creazione di nuovi impianti e filiere di economia circolare.
Stefano Ciafani – Con il recepimento delle direttive europee è stata definita la cornice. Adesso, però, tocca a noi dipingere il quadro. Per farlo vanno sanati una serie di problemi. C’è ancora una parte del nostro Paese che è troppo dipendente dalle discariche. Per ridurre i conferimenti in discarica bisogna fare in modo che costi molto di più, aggiornando ad esempio la legge sull’ecotassa che risale al 1995. Bisogna premiare economicamente quelle utenze che producono meno rifiuti, e questo deve valere per le aziende, per i cittadini a cui va fatta pagare la tariffazione puntuale, e per i Comuni che fanno meglio la raccolta differenziata. Va poi promosso l’eco-design. Quello che oggi sembra irriciclabile, deve diventare riciclabile domani. I pannolini usa e getta erano irriciclabili fino a due anni fa, poi è stato realizzato il primo impianto al mondo che è in grado di riciclarli in provincia di Treviso. La ricerca industriale deve essere valorizzata per risolvere i problemi che sono rimasti irrisolti per troppo tempo.
Luca Ruini – Servono una strategia di filiera pensata per tutti gli attori e una visione politica di lungo periodo. Senza contare che andranno definiti percorsi di intervento diversi a seconda dell’area geografica su cui si vorrà operare: al Sud, dove la raccolta differenziata ha ampi margini di miglioramento, sarà necessario continuare a incentivarla; al Nord, invece, c’è da lavorare soprattutto sullo sviluppo della qualità del materiale raccolto e del riciclato. Non dimentichiamo che, in Italia, i rifiuti di imballaggio sono oggi gli unici ad avere un sistema Epr che raggiunge gli obiettivi di riciclo imposti dalle norme europee.
Paolo Tomasi – Ritengo che la definizione preliminare di linee guida uniformi, chiare e applicabili per tutte le Regioni sia il primo step da fare. In secondo luogo si dovrebbe procedere alla valutazione e al sostegno di progettualità frutto del lavoro di proposta degli organi locali secondo criteri di promozione della sostenibilità, del territorio e di valorizzazione delle competenze professionali.
Come si accelerano le procedure per l’approvazione di nuovi decreti End of waste e per la realizzazione di nuovi impianti di riciclo dei rifiuti?
Sergio Costa – L’End of waste è un tassello indispensabile per la valorizzazione del potenziale dei rifiuti e può dare un forte contributo allo sviluppo del settore del riciclo. Stiamo accelerando le procedure per l’approvazione dei nuovi decreti. Il meccanismo, come sapete, è molto lungo e complicato. Questi decreti devono essere concertati con gli altri ministeri, avere l’approvazione della Commissione europea, del Consiglio di Stato. Io dal primo gennaio ho creato una direzione generale ad hoc e finalmente abbiamo un direttore generale, capace e tenace, la dottoressa Laura D’Aprile. Lavoriamo pancia a terra, come si suol dire. Recentemente, ho firmato il decreto sulla disciplina per l’End of waste di carta e cartone. In primavera avevo firmato quello sui pneumatici fuori uso, con il quale a 400mila tonnellate medie su base annua di questo tipo di rifiuti abbiamo dato una destinazione, trasformandoli in materia prima seconda. Prima ancora, ho portato a casa quello sui prodotti assorbenti per la persona, che riguarda una produzione di circa 900mila tonnellate di rifiuti. Adesso siamo alle battute finali sul decreto sui rifiuti da costruzione e demolizione, una fetta preponderante della produzione italiana di rifiuti speciali: si tratta, comprese le terre e rocce da scavo, di circa 51 milioni di tonnellate annue. Per quanto riguarda i nuovi impianti, l’idea è di aumentare grazie al Recovery plan il sistema dell’economia circolare, per rendere appetitosa l’apertura di impianti, soprattutto al Sud. Abbiamo rivisto le norme sulla valutazione di impatto ambientale, semplificandole a livello nazionale ma anche a livello regionale. Lo sforzo che chiediamo è, allora, che i piani regionali dei rifiuti colgano questa opportunità, anche per aumentare le percentuali di raccolta differenziata.
Stefano Ciafani – Il Decreto Semplificazioni non ha portato all’adozione delle semplificazioni più importanti. Una di queste è quella relativa all’iter di approvazione dei decreti End of waste. Non si può pensare che il nostro Paese approvi un decreto all’anno come è stato fatto finora, il ritmo deve salire a 5-10. Bisogna fare più in fretta, perché nel frattempo le aziende sono sempre più avanti rispetto alla politica e alle istituzioni. E questo si può fare solo semplificando gli iter di approvazione. Per quanto riguarda l’impiantistica, per velocizzare l’autorizzazione degli impianti occorre uno sforzo di condivisione con i territori. È giusto contrastare la realizzazione di nuove discariche, è giusto opporsi a nuovi impianti di termovalorizzazione, ma gli impianti di riciclo vanno fatti tutti e in tutta Italia. Serve una norma che promuova il dibattito pubblico alla francese per questi impianti attivando un percorso di partecipazione e condivisione, in modo da risolvere a monte tutti i problemi. Se non si supera la logica del calare dall’alto questi progetti, non ne verremo mai a capo.
Luca Ruini – Possiamo augurarci che, dopo le buone notizie per il mondo di carta e cartone, la chiusura di altri provvedimenti arrivi in tempi rapidi. Ne aspettiamo con urgenza uno sul combustibile solido secondario e uno sul plasmix. Per quanto riguarda gli impianti, invece, probabilmente un sistema di norme di stampo territoriale può aiutare: demandare alle realtà locali e alla loro conoscenza del sistema a livello regionale è sicuramente una buona strategia.
Paolo Tomasi – Il modello gestionale e organizzativo che il Conou si è dato nel corso degli anni credo rappresenti una delle chiavi essenziali che motivano il successo anche internazionale del Consorzio. Siamo oggi forti di una filiera, fatta di una solida rete di aziende di raccolta dell’olio minerale usato operanti su tutto il territorio nazionale e di tre impianti di rigenerazione del rifiuto, che assicurano la sostanziale chiusura del ciclo degli oli usati. Alla base del nostro modello ci sono la sinergia tra gli attori della filiera e l’esperienza organizzativa, gestionale e industriale dal 1984 costantemente votata all’innovazione e alla sostenibilità.
Pubblicato sulla rivista Rifiuti Oggi n.1 anno 30
Rocco Bellantone