È al centro della campagna Unfakenews di Legambiente e Nuova Ecologia contro le bufale ambientali. Non c’è spazio per i dubbi

1. La produzione di biogas/biometano è fonte di emissioni inquinanti?

Le emissioni inquinanti durante il processo sono minime rispetto ad altri tipi di impianti e sono più controllate. Il primo step per la produzione di biogas è la digestione anaerobica, ovvero un processo di degradazione attraverso il quale il materiale organico viene trasformato in biogas grazie alla fase di fermentazione che avviene in reattori chiusi, in assenza di ossigeno e senza rilascio di emissioni gassose in atmosfera. Nella fase di upgrading invece, ovvero di passaggio da biogas a biometano, la miscela di gas viene depurata attraverso la rimozione di solidi in sospensione e tracce di altri gas (H2S, H2O, NH3) tramite processi quali filtrazione fisica, desolforazione, deumidificazione e filtrazione su carboni attivi.

2. Produrre biogas/biometano è fonte di odori sgradevoli?

Gli odori provengono principalmente dalle fasi di trasporto e stoccaggio del materiale in arrivo e in uscita. Per questo i moderni impianti prevedono un ambiente chiuso per il recepimento e lo stoccaggio del materiale, dotato di unità di captazione e trattamento aria, che previene la diffusione degli odori. Dopodiché è il processo biologico anaerobico in sé che riduce gli odori sgradevoli, ottenendo anzi un effetto igienicosanitario sulla materia prima utilizzata.

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3. È fonte di sviluppo di batteri patogeni, ad esempio clostridi, nel digestato?

La letteratura scientifica è ampiamente concorde nel ritenere che il processo di digestione anaerobica abbatta il contenuto della maggior parte dei batteri nocivi per l’uomo, rendendo più sicuro l’uso del digestato rispetto al refluo tal quale in ingresso. I risultati infatti indicano non solo una sostanziale neutralità dei processi anaerobici ma anche un’evidente tendenza alla loro diminuzione dopo la digestione.

4. Dove andrebbero collocati gli impianti e qual è il loro corretto dimensionamento?

La soluzione ottimale è realizzare questi impianti su scala provinciale, nelle aree industriali, nei pressi dei luoghi di maggior produzione dei rifiuti, per limitare al massimo il loro spostamento sul territorio. Sul dimensionamento bisogna avere uno sguardo prospettico e una buona pianificazione: nei prossimi anni le percentuali di raccolta differenziata dell’organico aumenteranno inevitabilmente e di questo bisogna tenerne conto già da subito, senza dimenticare le altre matrici, come le biomasse agricole, i fanghi da depurazione e gli scarti agroalimentari, che andranno trattate comunque con degli impianti ad hoc.

(a cura di Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente. Leggi il position paper di Legambiente su unfakenews.it)

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